dal DATAROOM di Milena Gabanelli e Francesco Tortora per IL CORRIERE DELLA SERA
Bollette: abbiamo le più care d’Europa ma ostacoliamo il fotovoltaico. Ecco come
Per contrastare il riscaldamento climatico l’imperativo è quello di ridurre i consumi e aumentare la produzione da fonti rinnovabili. Per l’Italia è anche la strada per pagare bollette meno care. Secondo lo studio dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEFA) l’Italia è il più grande produttore di energia elettrica a gas dell’Unione Europea con una produzione pari a quella di Germania e Spagna messe insieme. La quota di utilizzo del gas nel mix di produzione di energia elettrica nel 2023 è di circa il 45%, quasi tre volte la media Ue. Di conseguenza il prezzo dell’elettricità è legato all’andamento del gas. Per questa ragione l’energia pagata dalle nostre imprese e famiglie è molto più cara rispetto a quella dei principali partner europei (report di Confindustria). Il prezzo medio sborsato dalle aziende italiane ad aprile ha raggiunto 86,8 euro al megawattora (MWh), contro 62,3 euro della Germania, 28,2 della Francia e 13,6 della Spagna.
Le fonti rinnovabili e la crescita del fotovoltaico
L’ultimo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) inviato alla Commissione europea prevede che entro il 2030 dobbiamo coprire il 65%del fabbisogno elettrico con energia rinnovabile (qui pag.79). Oggi siamo al 36,8%, contro il 52% della Spagna, il 50% della Germania e il 27% della Francia che però produce la maggior parte dell’energia elettrica con il nucleare. Tra le fonti rinnovabili quella che cresce di più nel nostro Paese è il fotovoltaico. Secondo Italia Solare, associazione che rappresenta 1.300 operatori sono connessi 1,68 milioni di impianti e le regioni capofila sono Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna. Il 2023 è stato un anno record: 373.929 impianti installati per una potenza di 5,2 gigawatt in più rispetto all’anno precedente. Effetto degli incentivi legati al superbonus e di una normativa molto semplificata (art.9 decreto legge 17-2022) che facilita il processo autorizzativo.
Fotovoltaico residenziale e a terra
Il 94% degli impianti però sono residenziali o di piccola taglia, montati principalmente sui tetti delle case e hanno una potenza inferiore a 20 kW. Gli impianti collocati direttamente sul suolo non richiedono lavori di rinforzo strutturale o modifiche architettoniche e garantiscono una maggiore efficienza energetica. Tra questi ci sono quelli di grandi dimensioni progettati per generare energia su larga scala: «Il costo di un megawattora prodotto da fotovoltaico a terra è un terzo rispetto a quello residenziale – spiega a Dataroom l’imprenditore Carlo Maria Magni, a capo dell’azienda ReFeel che realizza impianti solari -. In media 60 dollari contro i 200 necessari per l’energia generata sui tetti dagli impianti di piccola dimensione (qui pag.5). Tra le fonti rinnovabili, questi impianti sono i più competitivi in assoluto: più convenienti anche di carbone (media 68-166 dollari al megawattora), nucleare (141-222 dollari) e delle centrali turbogas (115-221 dollari)».
Non godono di alcun incentivo, eppure nei primi tre mesi del 2024 la potenza generata dai grandi impianti è aumentata del 373% grazie alla connessione di 8 strutture per un totale di 281 Megawatt.
La strada per ottenere le autorizzazioni però è lunga e tortuosa: l’iter di approvazione deve passare da una verifica ambientale, paesaggistica e urbanistica. A complicare le cose e a renderle incerte è spesso la sovrapposizione di normative nazionali con quelle regionali. A fine marzo risultavano 3.642 richieste di connessioni, un numero gigantesco rispetto ai progetti che poi saranno realmente realizzati.
I decreti Agricoltura e Aree Idonee
Siccome questi impianti occupano enormi spazi e non possono essere installati dappertutto, la direttiva Ue 2018/2001/UE, recepita dall’ordinamento italiano nel 2021, invita gli Stati membri a individuare superfici e aree idonee. Dopo anni di attesa, a giugno è stato trovato l’accordo tra i ministeri di Ambiente, Cultura e Agricoltura e la Conferenza Unificata Stato-Regioni, e ora il decreto attuativo «Aree Idonee» dà alle regioni 180 giorni per individuare i territori dove installare le strutture. Problema: a maggio è arrivato per decreto (decreto Agricoltura) lo stop di nuovi impianti fotovoltaici a terra su tutti i terreni agricoli. Ad eccezione di quelli finanziati dal Pnrr e quelli previsti in aree come cave, miniere, concessioni ferroviarie e aeroportuali, zone adiacenti ad autostrade e siti industriali. Non è ancora chiaro se i progetti in fase di autorizzazione avanzata siano salvi o vadano confermati dalle regioni. Il decreto Agricoltura, in aula a luglio per la conversione in legge, è in commissione Industria al Senato: sono stati presentati più di 100 emendamenti all’art. 5sullo stop alle installazioni su terreni agricoli.
Lo scontro tra Coldiretti e imprenditori delle rinnovabili
E qui si riaccende lo scontro che va in scena da almeno dieci anni tra Coldiretti e imprenditori delle rinnovabili. I primi hanno esultato perché il decreto mette un freno al «fotovoltaico selvaggio» delle multinazionali energetiche, che occupano intere aree agricole produttive promuovendo il consumo di suolo che «ogni anno brucia 1 miliardo di cibo». Secondo Stefano Masini, responsabile Ambiente dell’associazione degli agricoltori, «bisogna salvaguardare la sovranità alimentare italiana, un’eccezione unica al mondo, dall’invasione dei pannelli che ormai è diffusa su tutta la penisola, da Nord a Sud». Si va dai 142 ettari di parco fotovoltaico nel comune di Canaro in provincia di Rovigo, al Viterbese dove «quasi la metà della superficie agricola utilizzata è occupata dai pannelli» fino alla Sicilia che Coldiretti ribattezza «l’isola degli specchi» perché a causa dei pannelli «migliaia di ettari sono ormai improduttivi».
Dall’altra parte gli imprenditori delle rinnovabili, settore che impiega quasi 150 mila lavoratori, ribattono che con la norma si perdono circa 60 miliardi di euro di investimenti. Si legge sul sito di Italia Solare: «In Italia ci sono 16,5 milioni di ettari agricoli –- di cui 4,2 milioni incolti e abbandonati». Il dato preciso lo fornisce Ispra (Qui pag. 45): in totale gli ettari occupati da impianti fotovoltaici raggiungono 17.830 ettari, cioè lo 0,1% di tutta la superficie agricola. L’associazione ha scritto una lettera aperta alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni chiedendo l’abolizione dell’art.5 del decreto Agricoltura perché non solo «genera bollette più alte per i cittadini» ma limita anche «la libertà degli agricoltori di poter disporre delle loro proprietà». A bocciare il provvedimento anche diverse associazioni ambientaliste tra cui il WWF: «È un ingiustificato freno allo sviluppo – si legge in un comunicato – e vanifica tutte le politiche di pianificazione e razionalizzazione normativa per le fonti rinnovabili degli ultimi anni».
L’agrivoltaico: una prospettiva reale?
Il decreto dà un’alternativa: l’agrivoltaico. Vuol dire impianti «avanzati» che prevedono contemporaneamente l’uso di terreni per la coltivazione e per la produzione di energia fotovoltaica. In concreto i pannelli sono sospesi almeno 1,3 metri dal terreno nel caso di attività zootecnica, e 2,1 metri nel caso di coltivazioni. Il problema è che rispetto agli impianti a terra costano dal 30 al 60% in più e sono più vulnerabili agli eventi estremi. Il Pnrr stanzia 1,1 miliardi di contributi a fondo perduto all’agrivoltaico avanzato, da assegnare entro il 30 giugno 2026. Un investimento che consente di installare strutture per una produzione massima di 1,04 Gigawatt.
Impianti e agricoltura
Tirando le somme: gli impianti installati in Italia macinano una potenza di 32,4 Gigawatt. Entro 6 anni dobbiamo raggiungere gli 80 Gigawatt, circa 8,3 GW all’anno (qui pag.45). Missione impossibile senza la costruzione di nuovi impianti a terra, perché essendo più efficienti producono energia a basso costo. Ed è irrealistico pensare che si possa compensare la loro potenza con quella ricavata dal fotovoltaico residenziale, magari coprendo tutti gli edifici italiani con pannelli solari.
Il dato certo è che l’agricoltura, che si vuole proteggere, resta il settore più penalizzato dal cambiamento climatico. Solo negli ultimi due anni siccità e alluvioni hanno causato almeno 12 miliardi di danni (qui e qui) e la perdita di fertilità su migliaia di ettari di terreno coltivato.
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