16/05/20

Financial Times

Accantonare le priorità ambientali per rilanciare l’economia dopo il virus? Cari governi e care imprese, non ci pensate proprio

Gianluca Mercuri – Rassegna stampa de IL CORRIERE DELLA SERA

Non abbiamo più scuse. Corre l’obbligo — per governi e cittadini — di sommare gli insegnamenti delle tre grandi crisi che hanno sconvolto l’ulimo decennio: quella economica, quella climatica e quella pandemica. E ricavarne le ricette adatte allo sviluppo, al progresso, al benessere, allo stare insieme in modo sostenibile in un mondo inquieto, in cui natura e fattori economici sono sempre in agguato, pronti a farci pagare le conseguenze di errori evitabili.

Non lo dice proprio così il FT, ma è il senso del suo appello a non approfittare delle urgenze economiche post virus per accantonare quelle ambientali. E colpisce che ancora una volta il senso civico, o semplicemente il buon senso, promani da un giornale che si tenderebbe a immaginare attento agli interessi più prettamente e grettamente materiali, quelli dell’establishment economico e finanziario del pianeta. Ma può sorprendere solo chi non legge con frequenza questa Bibbia della finanza, che martella sistematicamente sull’assoluta e necessaria compatibilità tra etica e profitto. Anzi: sull’etica, in un’epoca di consumatori consapevoli, come unica via al profitto.

«Se c’è una prima lezione da trarre dalla crisi del Covid-19, è che i governi devono prepararsi meglio al peggio», afferma l’editoriale. «La pandemia ha mostrato la follia letale di ignorare i moniti degli esperti». E i leader devono tenerlo bene a mente mentre affrontano la ricostruzione in mezzo a «crescenti richieste di abbandonare le misure contro il climate change». Non basta, infatti, cullarsi sulla diminuzione senza precedenti delle emissioni di carbonio causa virus: l’effetto durerà poco se non si farà la scelta giusta tra le due che abbiamo di fronte. 
La prima: status quo, combustibili fossili e rilancio dell’economia vecchio stile. La seconda: innovazione, energia pulita e rilancio dell’economia in stile green.

Il FT raccomanda senza ambiguità la seconda via e indica a esempio una pietra miliare della storia. Come Roosevelt seppe usare la leva pubblica per rilanciare infrastrutture e occupazione e uscire dalla Grande Depressione, così i governi di oggi devono colorare di verde i loro piani di stimolo, sapendo che la formula esatta non esiste, che ci vorrà tempo e che lo sforzo deve essere globale, a cominciare dai paesi emergenti.

Il primo suggerimento concreto è condizionare il salvataggio delle imprese alla loro riconversione: niente bailout alle aziende che non forniscono piani dettagliati su come arrivare a emissioni zero entro il 2050 (e già ci sembra di vedere sghignazzare certi manager abituati ad avere come stella polare i loro bonus del prossimo triennio, ma sono da compatire come i festaioli di Pompei prima dell’eruzione). Industrie come l’aviazione richiedono misure più dure e lì l’esempio viene dalla Francia (un paese che con la crisi sta migliorando: meno arrogante, più timoroso, quindi più realista), che per salvare la sua compagnia di bandiera le chiede di dimezzare le emissioni entro il 2024, riducendo di brutto i voli a corto raggio. Occhio poi ai treni: non possono e non devono diventare più costosi degli aerei.

Altre priorità: le aziende devono essere molto trasparenti nel documentare i loro sforzi in termini di impatto ambientale. Lo devono agli investitori attenti alla sostenibilità e quindi a sé stesse, perché altrimenti quegli investitori scappano (etica come precondizione del profitto…). E a proposito di sostenibilità, i governi non devono ripetere l’errore del 2008, quando si fecero prendere dalla frenesia di progetti subito «cantierabili» col risultato che solo 1 dollaro su 6 fu speso in infrastrutture sostenibili. E poi: sussidi ai combustibili fossili no, carbon tax sì, e pazienza se qualcuno continuerà a contestarne l’efficacia. L’ecotassa è bella perché colpisce un male, non un bene.

La conclusione è perfetta: «Questo non è un menu di opzioni. La realtà è che queste politiche saranno necessarie, così come i cambiamenti nei comportamenti individuali». Eccolo il «new normal» del post Covid.