Contro il pessimismo di Gibbs & Moore, l’ottimismo della ragione

Poche settimane fa, in piena emergenza COVID, il Ministro Boccia ha usato parole dure nei confronti delle incertezze degli scienziati. “O la scienza fornisce certezze, o non è scienza”. 

La stessa conclusione, applicata alla tecnologia delle rinnovabili, sembrano averla raggiunta Gibbs e Moore nel loro recente e discusso documentario, “Planet Of The Humans” (https://www.youtube.com/watch?v=Zk11vI-7czE).

Il documentario si scaglia conto il tecno-ottimismo dalle energie rinnovabili e contro le organizzazioni ambientaliste, bocciando entrambi senza appello per mancanza di purezza. Partendo da granelli di verità, Gibbs & Moore li condiscono con informazioni false o parziali, magari nel contesto sbagliato, giungendo a conclusioni quantomeno fuorvianti.

Al di là delle singole affermazioni, molte delle quali datate e già abbondantemente smantellate dalla comunità scientifica (es. https://www.climalteranti.it/2020/05/13/la-pericolosa-ricerca-di-purezza-e-perfezione/#comment-598462,  https://www.newsweek.com/michael-moore-planet-humans-film-climate-change-1502554), quello che preoccupa del documentario è l’approccio profondamente diseducativo. Nonostante l’apparente spirito di approfondimento, il film resta scientificamente superficiale. E’ legittimo e salutare chiedersi se le tecnologie rinnovabili siano davvero una soluzione, un po’ come chiedersi se i vaccini siano davvero utili o se quell’orizzonte piatto di fronte ai miei occhi sia davvero parte di una terra sferica. Anzi, di più: è necessario. Questi dubbi sono il sale della scienza, il motore del progresso. 

Il film, tuttavia, nega la complessità della realtà, e con essa ogni possibile approccio che non offra un “tutto-e-subito”. Ignora le enormi difficoltà tecniche, sociali, politiche ed economiche associate alla necessaria transizione verso un mondo senza combustibili fossili. 

Offre una visione del mondo come contrasto tra bianco e nero, tra tutto buono e tutto cattivo. Ogni minima contaminazione – un motore diesel che fa da back-up ad un sistema alimentato a energia solare, o un’organizzazione ambientalista finanziata da una oil company – corrompe irrimediabilmente tutto. Non che questi non siano potenziali problemi, ma il film finisce per buttare il bimbo con l’acqua sporca. Un po’ come un no-vax che, amplificando ogni potenziale (e spesso immaginaria) controindicazione nell’uso dei vaccini, finisce per negarne l’oggettività utilità. In modo analogo, negare l’utilità dei pannelli fotovoltaici solo perché costruiti con energia fossile, oppure negare l’utilità della biomassa forestale a scopi energetici perché al momento della combustione emette più CO2 del carbone – senza procedere alla domanda successiva (“ma alla fine,  fanno risparmiare più energia fossile di quella che producono?”) –  è un po’ come un terrapiattista che si ferma a ciò che i suoi sensi gli suggeriscono, incapace di andare oltre.

Per la cronaca, le risposte della comunità scientifica alla “domanda successiva” variano a seconda dell’oggetto. Per i pannelli fotovoltaici è “si, nel loro ciclo di vita i pannelli fotovoltaici fanno risparmiare una quantità di energia fossile circa 20 volte superiore a quella necessaria per produrli” (per le turbine eoliche, il vantaggio raggiunge le 40 volte https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/may/07/michael-moore-far-right-climate-crisis-deniers-film-environment-falsehoods). Per l’uso della biomassa forestale a fini energetici la risposta è assai più articolata, al di là dello scopo di questo commento, ma di certo il suo rifiuto totale è scientificamente infondato. Il perché mai affrontare seriamente questa semplice “domanda successiva” sia apparso troppo complesso agli occhi Gibbs & Moore resta un mistero, ma è molto indicativo dell’approccio che permea tutto il loro documentario.

Sia chiaro: gli sforzi per giungere ad un mondo senza combustibili fossili sono drammaticamente insufficienti, è vero. Alcune delle soluzioni proposte hanno grossi limiti tecnici, serie controindicazioni oppure rappresentano un mero green-washing, è vero. Alcune organizzazioni ambientaliste si sono spinte troppo oltre nel fare i patti con il diavolo, è vero. Mi chiedo però cosa di utile possa derivare dall’approccio di Gibbs & Moore.

Chi si aspetta solo certezze dalla scienza, così come soluzioni facili dalla tecnologia, finirà per restare deluso, con il rischio poi di rivolgersi agli stregoni o alle ideologie. 

Paradossalmente, la ricerca delle soluzioni certe, della purezza assoluta, del bianco candido, porta il film alla più nera delle conclusioni: il problema siamo noi, noi come specie umana.  La popolazione, il nostro inevitabile stile di vita. C’è del vero, ovviamente, ma il film resta cupo, nichilista, senza speranza. Se vogliamo risolvere il problema, sembra suggerire, dobbiamo sparire. E’ un film che semplifica troppo e suggerisce le domande sbagliate. E’ un film che può frenare ciò che di buono si sta facendo, tra cui le energie rinnovabili, lasciando il mondo peggiore di prima.

Senza un’educazione alla complessità dei problemi e delle possibili soluzioni – educazione per tutti, non solo per i ministri e i documentaristi – la battaglia contro i cambiamenti climatici è persa in partenza. Anche per questo c’è Climalteranti. E per questo, mi auguro, questo film verrà presto dimenticato, sotterrato dall’ottimismo di chi si rimbocca le maniche ogni giorno per cercare soluzioni molto imperfette, ma concrete.

Giacomo Grassi