Lavoro agile, quali impatti?

di Valerio Langè*

Come giustamente mostrava Fulvio Fagiani nell’articolo Occuparsi Del Riscaldamento Globale Nel Mondo Post-Pandemia, le risposte che le famiglie, le imprese e le istituzioni stanno dando all’attuale emergenza sanitaria possono insegnare qualcosa.

È il caso del lavoro agile, denominato anche smart working o “lavoro da casa”, definizione quest’ultima appropriata solo per questo periodo straordinario. Il lavoro agile è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la legge 81/2017 grazie al consenso di un’ampia parte dei gruppi parlamentari della scorsa legislatura ed è definito quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Si tratta di un modo di lavorare che era già presente presso alcune aziende, specie grandi, non solo in Italia; la diffusione del lavoro agile negli scorsi anni è cresciuta e ha interessato anche piccole e medie imprese e pubbliche amministrazioni.

I provvedimenti normativi adottati recentemente per far fronte all’emergenza sanitaria hanno reso più snelle le procedure di attivazione, tanto per il settore privato quanto per le pubbliche amministrazioni presso cui peraltro era già incoraggiato dalla riforma Madia (legge 124/2015).

Al di là delle immagini dell’acqua tornata limpida nei canali di Venezia o lungo il Po e delle impressioni organolettiche circa la migliorata qualità dell’aria, il lavoro agile consente di ridurre la domanda di mobilità e di conseguenza delle emissioni a questa legate.

In questa sua strana variante obbligatoria, casalinga e arrangiata, il lavoro agile sta contribuendo a ridurre il traffico: le rilevazioni di Anas, sintetizzate dall’indicatore IMR (Indice di Mobilità Rilevata), mostrano come nel mese di marzo il traffico si sia ridotto del 52,2% rispetto al mese precedente, con una diminuzione del 55% da marzo 2019 a marzo 2020. Un dato preannunciato dalle rilevazioni di febbraio, che mostrava una diminuzione dell’1,4% rispetto a febbraio del 2019, con punte del 5,1% nel Nord del Paese, dove le misure restrittive erano già in essere.

Alcune aziende che già prima dell’emergenza sanitaria avevano adottato il lavoro agile hanno provato a misurarne i benefici in termini di minori emissioni. Graded stima che in un solo mese il lavoro agile ha portato a una riduzione di circa 35 tonnellate di CO2 emesse nell’aria; Stantec invece calcola che in un anno, ipotizzando una popolazione di 100 dipendenti ed una media di un giorno a settimana di smart working, sia possibile evitare di emettere 40 tonnellate di CO2, 8,5 kg di PM10 e 100 kg di ossido di azoto, cogliendo peraltro ulteriori benefici quali minori costi per i dipendenti (stimati in 20.000 euro), minori costi per l’azienda (stimati in 100.000 euro), 130.000 km non percorsi e 3.000 ore su mezzi pubblici o propri risparmiate.

A livello di qualità dell’aria, giustamente ARPA Lombardia afferma che non vi sono dati sufficienti per svolgere un’analisi rigorosache stabilisca una diretta correlazione tra le azioni di contenimento della diffusione del Covid-19 e il miglioramento della qualità dell’aria. Tuttavia, i dati che ARPA stessa rende disponibili relativamente alla qualità dell’aria in Lombardia evidenziano che il periodo da ottobre 2019 a marzo 2020 è stato caratterizzato da concentrazioni di PM10 e PM2.5 complessivamente inferiori a quelle dell’anno precedente; in particolare, le forti diminuzioni del numero di giorni di superamento dei limiti rilevate a Lodi e a Cremona rendono meritevole d’approfondimento il legame tra minori emissioni e provvedimenti di lockdown.

È poi da rilevare come la diminuzione della domanda di mobilità sia fondamentale per affrontare in modo sostenibile la fase due: data la difficoltà a garantire il distanziamento tra le persone sui mezzi pubblici, il rischio concreto e imminente è che la riapertura delle attività economica corrisponda a un ritorno massiccio alla mobilità privata e individuale; questa avverrà utilizzando il parco auto esistente, caratterizzato per meno della metà da veicoli Euro 6, e che a causa del generale impoverimento non sarà facilmente rinnovato. È quindi da accogliere con favore la notizia secondo cui la squadra di esperti nominata dalla Presidenza del Consiglio e guidata da Vittorio Colao (peraltro fautore dello smart working durante il periodo in Vodafone) stia valutando proprio il lavoro agile tra le misure per garantire una progressiva ripresa delle attività economiche.

*Consigliere comunale di Laveno Mombello, collaboratore di Synergia s.r.l. e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.