Coronavirus e clima

Mentre imperversa la pandemia, alcuni cominciano a chiedersi come sarà ‘dopo’, anche riferendosi all’emergenza climatica.

Il blocco di gran parte delle attività nelle aree più industrializzate del pianeta, dalla Cina all’Europa agli Stati Uniti, comporta un rallentamento dell’emissione di inquinanti, come viene confermato dalle rilevazioni, e probabilmente anche delle emissioni climalteranti.

Se infatti gli edifici residenziali continueranno ad emettere, anche di più a causa della maggiore permanenza domestica, gli edifici adibiti ad usi lavorativi, fabbriche, uffici, spazi commerciali, ridurranno il loro impatto. Ugualmente le emissioni di gas serra provocate dalla mobilità, dalle industrie e dalla produzione di energia, saranno ridimensionate in misura significativa. E’ probabile quindi che il 2020 vedrà un livello emissivo globale in diminuzione rispetto al 2019.

Tutto bene allora?

Non proprio. Alcuni fanno notare che dopo ogni crisi, dopo una temporanea diminuzione, le emissioni hanno ripreso a crescere nelle fasi di ripresa (v. https://www.internazionale.it/opinione/gabriele-crescente/2020/03/19/coronavirus-clima).

Non solo, ma, come fa presente Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia ambientale europea, “L’Europa mira a pervenire alla neutralità climatica con riduzioni delle emissioni graudali e irreversibili e ponendosi obiettivi di lungo termine per costruire un’economia resiliente ed una società resiliente, non attraverso shock distruttivi” (https://www.eea.europa.eu/articles/reflecting-on-climate-neutrality-ambitions). La crisi pandemica, cioè, non ha cambiato nulla delle cause sottostanti alle emissioni: la produzione di energia è sempre basata sui fossili, la mobilità sui combustibili fossili, così comele industrie e l’agricoltura. Le cause sono immutate, sono solo temporaneamente diminuiti gli impatti.

Altri si domandano se all’uscita dalla crisi tutto tornerà come prima.

C’è chi, come Enrico Giovannini intervistato dall’Huffington post (https://www.iltascabile.com/scienze/spillover-quammen-coronavirus/) teme che vengano messi in secondo piano gli obiettivi dell’Agenda2030 e si privilegino i posti di lavoro, quali che siano, chi, come Lelio Demichelis (https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/il-mondo-prima-e-dopo-il-coronavirus-come-restare-umani-disubbidendo-al-sistema/) spera che “cambi tutto per cambiare tutto), chi ancora paventa un rafforzamento degli egoismi nazionali e un rinserramento nei propri confini (v. articolo “Che mondo sarà” di Vittorio Malagutti sull’Espresso del 29 marzo).

Senza dimenticare lo stretto legame tra alterazione degli ecosistemi e perdita di biodiversità e passaggio dei virus dagli animali selvatici all’uomo, come sottolineato dall’intervista a david Quammen (https://www.iltascabile.com/scienze/spillover-quammen-coronavirus/).

Avanzo infine un’ulteriore preoccupazione: che ne sarà dell’Unione Europea e del suo Green Deal? La frattura fra l’Europa del Nord e l’Europa del Sud esplosa sui coronabond e la priorità accordata alla tutela dei redditi e alla preservazione della struttura produttiva, relegheranno ad un futuro sempre più remoto le ambizioni scritte nella ‘Legge clima’? Si sarà ancora capaci di vedere nella trasformazione dei sistemi di produzione dell’energia, della mobilità, degli insediamenti, dell’industria e dell’agricoltura, la via maestra per uscire contemporaneamente dalla crisi economica e dall’emergenza climatica e ambientale?

Ci sono buone ragioni, quindi, per chi da tempo si preoccupa per il riscaldamento globale e s’impegna per un’azione all’altezza della sfida, di non farsi disorientare dall’emergenza e di preparare con lungimiranza i percorsi che, debellata la pandemia, ci faranno scongiurare pericoli ben maggiori e ci potranno portare alla sostenibilità.

Fulvio Fagiani