Una riflessione generata dall’ascolto degli interventi alla tavola rotonda del 28 maggio 2024: Chi paga?

riceviamo da Fulvio Fagiani

Chi paga? È una domanda che si è sentita spesso nel corso della tavola rotonda sulle politiche climatiche europee, tenuta a Varese e Luino lo scorso 28 maggio. Riqualificare energeticamente gli edifici costa, le auto elettriche costano, costruire un sistema energetico alimentato dalle rinnovabili costa. Allora chi paga?

Giusta domanda se sollecita a trovare risposte adeguate, scentrata se porta alla conclusione che non si deve fare nulla, che dobbiamo stare fermi.

Perché allora la domanda diventa: chi paga i costi dell’inazione, del non fare nulla? Come ho ricordato nella mia introduzione, ci sono ormai molte ricerche e studi che indicano con maggiore precisione quali sono quei costi, dal rapporto sui rischi climatici in Europa dell’Agenzia europea per l’ambiente1, ad una ricerca pubblicata recentemente su Nature che ha calcolato il costo dell’inazione rispetto al costo dell’azione2. È sei volte tanto.

Allora tutti quei candidati che hanno posto la domanda ‘Chi paga’’ dovrebbero rispondere a questa domanda: siamo ad un bivio, da una parte ci aspettano i costi della mitigazione, dall’altra i costi del non far nulla che sono sei volte tanto. Ebbene quali sono le ragioni per cui dovremmo pagare sei volte tanto?

Rallentare, rallentare. Oltre ai costi, il tempoprima l’economia, poi il clima. Salvaguardiamo prima di tutto i processi produttivi e i consumi insostenibili, le centrali a gas, le auto endotermiche, le caldaie a gas, l’agricoltura basata su pesticidi e fertilizzanti artificiali, tanto il clima può aspettare. 

Ci sono due buone ragioni per non seguire questo pessimo consiglio.

Primo, il clima non aspetta. C’è una preoccupante accelerazione del sistema climatico: il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato, gli ultimi undici mesi, da giugno 2023 ad aprile 2024 sono stati tutti mesi record, ovunque si manifestano impatti disastrosi.

Chi chiede di rallentare ha mai sentito parlare di budget di carbonio? È la quantità di carbonio che possiamo emettere prima di vanificare gli obiettivi climatici. Più gas serra emettiamo, più consumiamo il nostro budget. Tutto il tempo che perdiamo ora lo pagheremo ben più caro (sei volte). 

Che cosa chiede l’industria europea? Accelerare, non rallentare.  La Commissione europea ha recentemente pubblicato gli esiti dei dialoghi con i rappresentanti dell’industria europea sulla ‘Transizione pulita’3. L’industria europea non chiede di rallentare la transizione, ma di accelerarla: realizzare il sistema energetico decarbonizzato, interconnettere le reti, il mercato unico dell’energia. E non è che un ragionamento di buon senso: forse per la prima volta nella storia sappiamo esattamente dove dobbiamo andare: sistema energetico basato sulle rinnovabili, edifici a consumi quasi zero, elettrificazione dei consumi, quindi auto elettriche e pompe di calore, batterie. In molti di questi settori industriali l’industria europea è indietro rispetto ai concorrenti globali, specie la Cina. Allora, che cosa bisogna fare? Rallentare o accelerare? Bisogna recuperare il tempo perduto, correre per evitare il rischio della deindustrializzazione, Esattamente il contrario della protezione di produzioni ormai obsolete. 

Un secolo fa che cosa si sarebbe dovuto fare, proteggere i costruttori di calessi o candele, o costruire l’industria delle auto e degli apparecchi elettrici? È in gioco l’autonomia strategica dell’Europa.

Il ruolo della politica e delle istituzioni. Le istituzioni devono indicare la direzione alle imprese come ai consumatori, perché ciascuno sappia come orientare le proprie decisioni, così che le decisioni dei singoli siano tra loro sinergiche e diano luogo ad un sistema coerente. Se la comunicazione di una parte consistente del sistema politico è per la conservazione dello status quo, gas, auto endotermiche, edifici inefficienti, si alimenta incertezza tra chi deve pianificare gli investimenti a lungo termine e chi deve decidere che cosa acquistare. 

È una politica che prepara disastri, irresponsabile non solo verso i rischi climatici, ma anche verso il futuro economico del nostro continente. Una doppia responsabilità verso il presente ed il futuro.

In conclusione. Non possiamo più nascondere la testa sotto la sabbia. Il cambiamento climatico è in corso e dobbiamo affrontarlo con coraggio e lungimiranza. Mai come ora la politica ha bisogno di essere ‘colta’, seria e informata, e di mantenere uno stretto dialogo con la scienza.

Non posso che richiamare, in conclusione, un auspicio contenuto in un rapporto dell’ASviS ‘spostare il dibattito politico e culturale in Italia dal breve al lungo-termine, da un approccio settoriale ad un approccio sistemico, dalle valutazioni ex-post alla programmazione ex-ante’4.

Fulvio Fagiani

  1. European Climate Risk Assessment – https://www.eea.europa.eu/publications/european-climate-risk-assessment.
  2. https://www.nature.com/articles/s41586-024-07219-0
  3. https://commission.europa.eu/document/download/edc7b551-6b25-42ab-b36c-d9af7d4654e9_en?filename=COM_2024_163_1_EN.pdf
  4. https://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/Rapporto_di_Primavera/Rapporto_ASviS_Primavera_2024_Scenari_Italia.pdf.