30/06/20 Cosa succede se il permafrost artico si scioglie (perché nella città con il record mondiale di freddo adesso c’è la stessa temperatura che a Las Vegas)

Nature, New Yorker (Rassegna Stampa de IL CORRIERE DELLA SERA – Elena Tebano) 

Verkhoyansk ha un record: è la città (abitata) al mondo dove è stata registrata la temperatura più bassa, 68 gradi Celsius sotto lo zero. Accadeva nel 1892, scrive il New Yorker. Una settimana fa a Verkhoyansk , invece, è stata registrata la stessa temperatura che c’era a Las Vegas, nel deserto del Nevada: 38 gradi. Anche questo è un record: quello di caldo per la Siberia. Che, come abbiamo raccontato qui qui, sta registrando temperature molto sopra la media, e in generale i limiti, della stagione. «Il cambiamento climatico antropogenico sta facendo sì che l’Artico si riscaldi a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta. I modelli climatici avevano previsto questo fenomeno, noto come amplificazione artica, ma non avevano previsto a quale velocità si sarebbe verificato il riscaldamento» scrive il settimanale americano. Secondo le loro proiezioni doveva succedere «solo» nel 2100. Ci ha messo 80 anni in meno. È una cosa molto preoccupante, ma quello che è ancora più preoccupante sono le possibili conseguenze di questo fenomeno così repentino. 

L’anno scorso la Siberia è stata devastata da incendi eccezionali: quest’anno, con le temperature registrate negli ultimi mesi, ci si aspetta che i roghi saranno ancora più massicci (e più difficili da controllare a causa dell’epidemia di coronavirus). Gli incendi amplificano a loro volta l’effetto del surriscaldamento delle temperature e contribuiscono ad accelerare ancora di più lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato (o meglio, che una volta lo era e ricopriva il 60% della Russia) e che — scrive il New Yorker —«una volta scongelato, libera ancora più gas serra e destabilizza drammaticamente il terreno, con gravi conseguenze». Secondo uno studio pubblicato da Nature poco mendo di due anni fa, infatti, quasi la metà (il 45%) dei pozzi di petrolio o giacimenti di gas dell’Artico si trova in terreni dove lo scioglimento del permafrost può causare cedimenti strutturali alle infrastrutture: i rischio è che ci siano sempre più disastri ambientali come quello di Norilsk.

Ma soprattutto che l’Artico, che finora era una riserva di ossigeno per la terra, grazie alla sua vegetazione, diventi una fonte di gas serra. «Il permafrost che attraversa l’Artico e le regioni boreali contiene tra 1.460 miliardi e 1.600 miliardi di tonnellate di carbonio organico, che è quasi il doppio della quantità presente oggi nell’atmosfera. Questo carbonio comprende sacche nascoste di metano antico, oltre a materia organica a lungo congelata (simile a un cumulo di compost congelato) che può rilasciare anidride carbonica e metano una volta che la vita microbica si risveglia nel terreno in fase di riscaldamento. Con l’aumento delle temperature, i ricercatori hanno recentemente scoperto che vengono rilasciate quantità sempre maggiori di questo carbonio, trasformando l’Artico in una fonte di anidride carbonica».